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  • Immagine del redattoreDott.gabrielebedini

Immunità e test anticorpali per SARS-CoV-2

Aggiornamento: 24 apr 2020

Cosa ci dicono i test anticorpali per SARS-CoV-2 sull'immunità?

Gli studi sui campioni di siero potrebbero trasformare la nostra comprensione sulla diffusione della CoViD-19, ma ciò che i soli anticorpi dicono sull'immunità non è ancora chiaro.

Sono passati mesi dall'inizio della pandemia causata da questo nuovo Coronavirus, ma i funzionari della sanità pubblica non sanno ancora quante persone abbiano effettivamente contratto SARS-CoV-2. In molti paesi la capacità pratica di poter effettuare dei test diagnostici è rimasta indietro rispetto alla diffusione del virus in misura considerevole. Anche in Italia, un gran numero di persone ha sviluppato i sintomi riconducibili alla CoViD-19 pur non avendo avuto accesso ad alcun test per avere una diagnosi laboratoristica a conferma di quella clinica, una altrettanto ampia fetta di popolazione non ha contratto il virus seppur non mostrando una sintomatologia così specifica. Tutta questa popolazione sintomatica o asintomatica, seppur infetta, non è mai stata testata, per cui i dati relativi a essa non si riflettono nelle statistiche ufficiali. A tal proposito, aziende e gruppi di ricerca, in accordo con le autorità istituzionali e sanitarie, stanno procedendo allo sviluppo di test diagnostici basati su una metodica per la ricerca anticorpale al fine di fare luce sulla reale diffusione di SARS-CoV-2 nella popolazione. A differenza dei test effettuati sui tamponi, mediante i quali si effettua una ricerca diretta di frammenti specifici del genoma virale, quindi la presenza del virus all'interno del campione biologico prelevato, con i test anticorpali si va ad indagare l'eventuale presenza di immunoglobuline nel sangue dei pazienti a conferma dell'avvenuto contagio con l'agente patogeno in questione. Anticorpi che generalmente si formano poco dopo l'avvenuta infezione e rimangono nel sangue per molto tempo anche dopo la scomparsa del virus, per cui sono indicatori di avvenuto contagio anche a malattia superata. Al netto di tutte le criticità che possono sussistere nel pregiudicare l'attendibilità di questi (come di altri) test, per uno di questi esami sierologici è stata concessa l'autorizzazione all'uso di emergenza da parte della Food and Drug Administration all'inizio di Aprile, mentre altri gruppi stanno sviluppando altri test analoghi. La pressione riguardo alla “riapertura” dall'isolamento, quindi presumibilmente l'aumento inevitabile del numero dei contatti tra le persone, sta suscitando l'idea anche delle istituzioni di poter concedere una sorta di autorizzazione alla circolazione alle persone per le quali può essere accertata la guarigione e l'immunità, una soluzione nota con il nome di “passaporti di immunità” o “certificati di immunità”. Il successo di un tale programma dipende dall'eventualità che tutti coloro i quali abbiano contratto SARS-CoV-2 abbiano anche sviluppato effettivamente anticorpi, se questi anticorpi proteggono dalle infezioni secondarie e, in tal caso, da quanto tempo rimangono presenti nell'organismo in misura protettiva. Allo stato attuale, sebbene si possa presumere l'utilità di questo strumento, la comunità scientifica non ha ancora risposte chiare e nette a nessuna di queste domande, tale da garantirne l'impiego per lo scopo.

Per l'appunto è considerata da molti ancora prematura l'ipotesi del “passaporto di immunità”.

Gli anticorpi che si vanno a ricercare sono di classe IgG e IgM. Nella riposta immunitaria si ha in primo luogo un a impennata delle IgM più generici, seguita dalla formazione di IgG più duraturi e più specifici. Poiché la maggior parte dei pazienti testati sono quelli ricoverati in ospedale che quindi hanno sviluppato una forma della malattia più grave, non è ancora chiaro se i casi più lievi o asintomatici siano ugualmente stimolati nella produzione di anticorpi. Interessante a tal proposito uno studio dell'Università Fudan di Shanghai mediante il quale è stato esaminato il plasma da 175 pazienti che si sono ripresi dopo sintomi lievi. Di questi, la stragrande maggioranza ha sviluppato anticorpi verso la proteina spike circa 10-15 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi. Tuttavia il rapporto ha suscitato qualche preoccupazione poiché i ricercatori non sono stati in grado di rilevare gli anticorpi in 10 pazienti. È possibile che il test PCR per SARS-CoV-2 abbia dato un esito di falso positivo e che queste persone lievemente sintomatiche abbiano effettivamente avuto una diversa infezione respiratoria, ma è anche possibile che che alcuni pazienti semplicemente non sviluppino anticorpi (anche alla luce del fatto che, anni fa, mentre praticamente tutti i soggetti con SARS hanno prodotto una risposta anticorpale, ciò non è valso per MERS). Infatti alcuni studi condotti su MERS hanno scoperto che le infezioni lievi o asintomatiche, seppur positive alla PCR, possono causare diverse risposte immunitarie non rilevabili con i test sierologici. In molte infezioni virali, l'entità di una risposta anticorpale si correla bene con l'entità e la gravità dell'infezione: le infezioni gravi sono più “memorabili” per il sistema immunitario. È interessante notare anche una correlazione positiva tra i livelli di anticorpi dei pazienti e la loro età, che a sua volta è nota per correlarsi con la gravità dei sintomi. Se le infezioni da SARS-CoV-2 più lievi hanno meno probabilità di produrre una risposta anticorpale rilevabile, ciò potrebbe ridurre l'utilità dei test anticorpali nel rilevare casi asintomatici o lievi. Ma questi anticorpi, qualora presenti, sono effettivamente protettivi? I dati attuali sembrerebbero essere incoraggianti. Inoltre è possibile che anche altri componenti del sistema immunitario, come le cellule T helper o le cellule T killer, svolgano un ruolo importante nella protezione da SARS-CoV-2. Tuttavia non si hanno ancora abbastanza dati per poter affermare se gli anticorpi prodotti durante un'infezione primaria siano di fatto protettivi per una eventuale seconda infezione. Quanto dureranno i livelli di anticorpi? Idealmente, la risposta anticorpale umana alla SARS-CoV-2 rispecchierebbe quella al morbillo, per il quale una singola esposizione è sufficiente per generare anticorpi IgG solidi e neutralizzanti che circolano nel sangue per tutta la vita e forniscono una protezione permanente, ma le risposte immunitarie ai Coronavirus sembrano differire. Per esempio gli studi sui sopravvissuti all'epidemia di SARS del 2003 suggeriscono che le concentrazioni di anticorpi neutralizzanti sono durate fino a tre anni, nonostante altre ricerche ipotizzano periodi anche più lunghi. Nella MERS è stato osservato che i livelli di anticorpi neutralizzanti svaniscono dopo tre anni e anche per i Coronavirus “meno mortali”, quelli responsabili del raffreddore, i livelli di anticorpi neutralizzanti diminuiscono nell'intervallo da due a tre anni.

L'incontro iniziale con un patogeno non solo spinge i plasmablasti nel sangue a trasformarsi in plasmacellule che generano anticorpi specifici, ma stimola anche i linfociti B della memoria, questi possono durare decenni, nascondendosi nei linfonodi, nella milza, nel midollo osseo e nel polmone, mentre alcune circolano nel sangue. Per tanto i linfociti B della memoria potrebbero essere un indicatore alternativo dell'immunità, oltre ai livelli di anticorpi, tuttavia queste cellule sono più difficili da isolare.

Comunque, sulla base di ciò che è noto dalla maggior parte delle altre malattie infettive, si può ritenere che le persone sviluppino immunità seppur a breve termine. Anche i risultati delle terapie al plasma (per le quali si utilizzano gli anticorpi dai pazienti guariti per somministrarli ai pazienti che combattono forme gravi di CoViD-19) possono offrire alcuni indizi sul fatto che gli anticorpi siano protettivi. Aiuta il fatto che il genoma di SARS-CoV-2 sembra essere relativamente stabile, il che significa che il sistema immunitario potrebbe avere maggiori possibilità di sviluppare un'immunità più duratura rispetto ai virus dell'influenza quali mutano frequentemente. Tuttavia, la domanda è se la sola positività gli anticorpi sarà sufficiente per valutare l'immunità e costituire la base di "passaporti di immunità" che determinano chi può lasciare la quarantena e tornare al lavoro. Anche se può essere vero che la maggior parte delle prime esposizioni a patogeni pericolosi comporta l'immunità protettiva, è scientificamente difficile affermare che una determinata persona sarà immune al virus se raggiungerà un certo punteggio in un test anticorpale. Inoltre non è chiaro se qualcuno che abbia sviluppato anticorpi, e possa così essere ritenuto immune al virus, porti ancora una certa quantità di virus che potrebbe essere diffuso ad altre persone. La presenza di anticorpi IgG modifica il rischio di infezione? Questa è la domanda fondamentale a cui bisogna rispondere per sapere se gli anticorpi saranno protettivi. Ci vorrà del tempo per ottenere risposte. Parte di ciò che richiede tempo è monitorare i pazienti a lungo termine per vedere se le persone precedentemente guarite che hanno sviluppato anticorpi possano tornare a essere infettate o meno.





Fonte: [The Scientist] "What Do Antibody Tests For SARS-CoV-2 Tell Us About Immunity? Studies from serum samples could transform our understanding of the spread of COVID-19, but what antibodies alone say about immunity is not yet clear."

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